
Lo scorso giovedì il Times è uscito con una notizia che fino a pochi mesi fa ci sarebbe sembrata fantascienza: la UEFA sarebbe pronta a sospendere la federazione israeliana e potrebbe farlo già questa settimana, con “la larga maggioranza” dei suoi membri a favore.
Non stiamo più parlando di ipotesi o scenari, quindi, ma di qualcosa di cui si sta parlando concretamente tra le massime cariche politiche del calcio europeo proprio in queste ore. Questo non significa necessariamente che la cosa andrà in porto, e anzi proprio in queste ore lo scenario sembra cambiato di nuovo, forse chissà proprio in reazione a questa notizia. Per questo ho pensato che mettere in fila qualche domanda potesse aiutare a fare un po’ di chiarezza su ciò che ci aspetta nei prossimi giorni, che potrebbero essere i più importanti da molti anni, almeno per questa storia.

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PERCHÈ SE NE PARLA PROPRIO ADESSO?
Anche volendo escludere il lungo passato di bombardamenti, soprusi e violazioni del diritto internazionale che ha creato quello che molte delle principali organizzazioni internazionali hanno definito un sistema di apartheid nei confronti della popolazione palestinese (qui per esempio Amnesty International), le atrocità dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza (e quelle dei coloni israeliani in Cisgiordania) durano ormai da quasi due anni.
Dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre del 2023, Israele ha avviato prima una lunga campagna di bombardamenti e poi un’operazione di terra che ha portato i suoi soldati fin nel cuore di Gaza City, provocando almeno 66mila morti civili dirette e un numero imprecisato di morti civili indirette, dovute cioè alla carestia indotta dal centellinamento degli aiuti umanitari e dalle condizioni sanitarie catastrofiche prodotte dalla distruzione degli ospedali. In questo scenario la distruzione dello sport palestinese è una parentesi, ma una parentesi significativa: Israele ha convertito alcuni stadi in campi di prigionia, ha ucciso almeno 774 atleti palestinesi e ha distrutto quasi completamente le infrastrutture sportive che rimanevano nella striscia di Gaza (ne ha scritto più approfonditamente Francesco Esposito nemmeno due mesi fa, se volete approfondire). Qui su Ultimo Uomo ci chiedevamo come mai Israele non fosse stato sospeso dalle istituzioni sportive internazionali già un anno e mezzo fa, e in quell’articolo lo storico dello sport Nicola Sbetti già allora notava come “adottando un criterio rigidamente giuridico, una sanzione nei confronti dello sport israeliano potrebbe essere pienamente giustificabile”. Se questa è la situazione, quindi, perché la UEFA sta prendendo seriamente in considerazione una sospensione solo adesso?
Secondo alcuni quotidiani anglosassoni, non è un caso che questa decisione arrivi solo pochi giorni dopo che una commissione d’inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ha definito come genocidio quello che sta commettendo Israele nella striscia di Gaza in un suo lungo rapporto. Pochi giorni dopo, basandosi anche su questo rapporto, un gruppo di esperti dello stesso Consiglio ha chiesto ufficialmente a FIFA e UEFA la sospensione di Israele dal calcio internazionale “come risposta necessaria per affrontare il genocidio in corso nei territori palestinesi occupati”.
Per quanto sia molto più importante dello stucchevole dibattito linguistico per cui spesso nel mondo occidentale lo si vuole far passare, soprattutto in un mondo in cui la Convenzione sul Genocidio impone a chi ne fa parte (l’Italia l’ha ratificata nel 1952) di “prevenire e punire” questo crimine, è improbabile però che la definizione di genocidio da parte del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU abbia avuto realmente un peso all’interno della UEFA. Come detto, infatti, le violazioni che giustificherebbero una sospensione della federazione israeliana sono molto più antiche e legalmente fondate di un rapporto che non ha nessun valore giuridico vincolante. Sbetti, nel suo pezzo, faceva uno degli esempi più eclatanti: “Le organizzazioni sportive israeliane, com'è noto da tempo, schierano nei propri campionati squadre di territori palestinesi occupati illegalmente dai coloni contravvenendo agli statuti della FIFA”, e l’illegalità di quell’occupazione è stata decretata ormai quasi dieci anni fa da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che è in cima alla gerarchia delle fonti del diritto (in altre parole: non può essere contraddetta da nessun’altra norma nazionale o internazionale).
Alcuni media israeliani hanno dato un’interpretazione più interessante, sostenendo che a spingere per una sospensione di Israele dalla UEFA sia stata l’attività diplomatica sotto traccia del Qatar. In questo scenario a cambiare le cose sarebbe stato l’attacco missilistico effettuato dall’esercito israeliano su Doha lo scorso 9 settembre, nel tentativo (fallito) di uccidere la leadership politica di Hamas, attirata nella capitale qatariota da un’offerta diplomatica da parte degli Stati Uniti. Come ritorsione, quindi, il Qatar vorrebbe usare la UEFA per rifarsi su Israele, utilizzando l’enorme influenza guadagnata ormai in Europa. D’altra parte, il presidente del PSG e dell’ECA (l'associazione che riunisce i club di calcio europei), Nasser Al-Khelaifi, siede all’interno del comitato esecutivo della UEFA - cioè l’organo che dovrebbe effettivamente decidere se sospendere Israele o meno - e, dopo aver salvato di fatto la situazione nell’affaire Superlega, ha acquisito un enorme credito politico presso il suo presidente, Aleksander Ceferin. Al-Khelaifi è a capo del ramo sportivo del fondo d’investimento del Qatar ed è uno dei membri di fatto del suo governo.
È una teoria affascinante e che potrebbe contenere un fondo di verità, ma che taglia di netto la volontà politica delle federazioni che compongono la UEFA, che è ciò che più probabilmente sta facendo la differenza adesso. L’aveva detto lo stesso Ceferin qualche settimana fa, in un sorprendente slancio di onestà, in un’intervista a Politico: «Per la situazione con la Russia e l’Ucraina c’è stata una pressione politica fortissima. Adesso [con Israele, nda] la pressione viene più dalla società civile che dalla politica - i politici, quando si tratta di guerre e vittime, sono ovviamente molto pragmatici». Quello che mancava, suggeriva Ceferin, era quindi la pressione politica da parte delle federazioni europee, per anni cieche alle violazioni da parte delle autorità israeliane, ma forse non si aspettava che alla fine questa pressione sarebbe arrivata proprio in risposta a quella spinta della società civile che in quella dichiarazione sembrava un po’ snobbare.
L’abbiamo visto in Spagna, con le proteste che hanno di fatto fermato la Vuelta, e poi in Italia dove prima le manifestazioni dello scorso 22 settembre e poi la vicenda della Global Sumud Flotilla hanno portato il tema in cima all’agenda politica nazionale. Ovviamente non è un fenomeno che è ristretto alla Spagna e all’Italia, dove c’è una pressione ancora molto forte affinché la Nazionale si rifiuti di scendere in campo per la partita di qualificazione ai Mondiali del prossimo 14 ottobre contro Israele. Nei giorni scorsi hanno chiesto esplicitamente la sospensione di Israele sia la federazione turca che quella norvegese (che a sua volta dovrà giocare contro Israele nei prossimi giorni), e come già detto, secondo il Times, all’interno della UEFA ci sarebbe “una larga maggioranza” a favore di questa decisione. Insomma, il clima politico nelle ultime settimane sembra essere profondamente cambiato.
COSA MANCA PER SOSPENDERE ISRAELE?
Secondo lo statuto della UEFA, a decidere sulla sospensione dei suoi membri è il comitato esecutivo, che prende le sue decisioni a maggioranza semplice. Il comitato esecutivo è composto da 20 membri, tra cui il presidente della UEFA (Aleksander Ceferin), cinque vicepresidenti (tra cui Gabriele Gravina, presidente della FIGC), due rappresentanti dell’ECA (tra cui il già citato Nasser Al-Khelaifi) e uno dell’organizzazione che rappresenta i campionati europei. I restanti undici membri sono espressione delle federazioni nazionali, ed è significativo in questo discorso che tra di loro ci sia anche il presidente della federazione israeliana, Moshe Zuares, eletto nel comitato esecutivo solo pochi mesi fa.
Maggioranza semplice significa quindi avere il voto di undici di questi venti membri, e su chi potrebbero essere, questi undici membri, è difficile fare speculazioni. C’è chi prova a intuire l’intenzione di voto (se davvero ci sarà) dalla loro nazionalità (il Times, per esempio, ha notato che Ceferin è sloveno, e che la Slovenia pochi giorni fa è diventata il primo Paese dell’Unione Europea a imporre un divieto di ingresso sul suo territorio a Benjamin Netanyahu) ma chiaramente le cose sono un po’ più complicate di così. Vedremo.
COSA COMPORTEREBBE LA SOSPENSIONE?
La sospensione di Israele comporterebbe l’esclusione temporanea ma immediata di tutti i club e le Nazionali israeliane nelle competizioni organizzate dalle UEFA. Detta così sembra la cosa più semplice del mondo ma sia a livello di club che a livello di Nazionale ci sono delle complicazioni notevoli.
Partiamo dai club, prendendo in considerazione per brevità solo il calcio maschile di primo livello. Delle quattro squadre israeliane che hanno partecipato ai playoff delle coppe europee è rimasto solo il Maccabi Tel Aviv, che attualmente partecipa all’Europa League. La sospensione della federazione israeliana porterebbe quindi all’espulsione del Maccabi Tel Aviv dall’Europa League, cosa che comporterebbe delle incognite regolamentari non di poco conto per la UEFA. L’espulsione del Maccabi Tel Aviv dovrebbe teoricamente significare la vittoria a tavolino di tutte le squadre che ancora devono affrontarlo ma con il nuovo “sistema svizzero”, quindi con una fase campionato a classifica unica, queste squadre sono adesso ben sette (cioè Dinamo Zagabria, Midtjylland, Aston Villa, Lione, Stoccarda, Friburgo e Bologna) invece delle precedenti tre dei vecchi gironi. In un sistema che ormai decide la qualificazione sulla base di pochissimi punti, e più spesso solo della differenza reti, assegnare tre punti in più d’imperio a sette squadre sulle 36 totali creerebbe una distorsione che potrebbe far sollevare più di un sopracciglio. Forse una soluzione potrebbe essere la qualificazione al posto del Maccabi della squadra che aveva perso il playoff contro la squadra israeliana (cioè la Dinamo Kiev, che però dovrebbe entrare a competizione già iniziata), ma lascio queste elucubrazioni agli uffici tecnici della UEFA che dovrebbero saperne più di me.
Le cose si fanno molto più complicate con la Nazionale israeliana, che come ben sappiamo è impegnata nelle qualificazioni europee ai Mondiali che si terranno l’anno prossimo negli Stati Uniti, in Messico e in Canada. Il nodo qui è che, pur essendo le qualificazioni ai Mondiali ufficialmente una competizione della FIFA, “sul campo” vengono organizzate dalla UEFA - e FIFA e UEFA, sul tema, hanno idee molto diverse, se non opposte. Il precedente illustre che abbiamo, quello cioè della Russia che al momento dell’invasione dell’Ucraina era impegnata nelle qualificazioni ai Mondiali del 2022, è fuorviante proprio per questo. FIFA e UEFA in quel caso erano allineate sulla decisione di escludere la federazione russa, e infatti lo annunciarono con un comunicato congiunto.
Oggi quella situazione sembra praticamente impossibile da replicare, anche se la UEFA dovesse fare questo passo coraggioso. La FIFA è circa un anno e mezzo che rimanda il voto sulla possibile sospensione della federazione israeliana, e il suo presidente, Gianni Infantino, è uno dei più grandi alleati di Donald Trump, a sua volta vicinissimo al governo di Benjamin Netanyahu. Insomma, la FIFA ha recentemente aperto un suo ufficio dentro la Trump Tower.
Il disallineamento politico tra UEFA e FIFA è un problema da diversi punti di vista. Per la UEFA, per esempio, verrebbe meno una delle legittimazioni giuridiche che sono alla base di una possibile sospensione di Israele. Come ha spiegato l’autorevole blog di diritto internazionale EJIL: Talk!, la legittimità giuridica della sospensione della Russia da parte della UEFA proveniva di riflesso anche dallo statuto della FIFA, che con l’articolo 3 impone all’organizzazione di “rispettare e promuovere i diritti umani riconosciuti a livello internazionale”. D’altra parte, per il suo statuto, la UEFA può espellere un suo membro se lo stesso ha già fatto la FIFA, con cui è esplicitamente invitata a collaborare. Insomma, se la FIFA dovesse rifiutarsi di sospendere Israele, per la UEFA prendere una decisione simile sarebbe un po’ più difficile, e non è escluso che questi giorni servano alla confederazione europea anche per tastare il terreno dentro all’organizzazione guidata da Infantino.
Se FIFA e UEFA dovessero arrivare a uno scontro su questo tema, poi, le complicazioni si moltiplicherebbero da un punto di vista pratico. Le Nazionali europee, infatti, potrebbero legittimamente rifiutarsi di scendere in campo contro una squadra che a quel punto non farebbe più parte della UEFA, ma al tempo stesso Israele potrebbe legittimamente reclamare il proprio diritto a qualificarsi in una competizione che è organizzata dalla FIFA, di cui farebbe ancora parte.
Come si potrebbe risolvere questa situazione, dato che Israele dal 1994 fa parte della UEFA? C’è un precedente interessante, in questo senso, e riguarda le qualificazioni ai Mondiali di Svezia del 1958. Allora era passato poco più di un anno dalla cosiddetta “Crisi di Suez”, e proprio per quella ragione tutte le Nazionali che erano state accoppiate con Israele nelle qualificazioni asiatico-africane avevano deciso di ritirarsi (prima la Turchia, poi l’Indonesia, infine il Sudan e l’Egitto). A quel punto Israele si sarebbe potuto qualificare ai Mondiali di Svezia senza giocare nemmeno una partita ma la FIFA, che voleva evitare questa eventualità, si mise di mezzo, inventando di fatto un playoff che non era previsto inizialmente, con una squadra scelta a caso tra quelle europee. Alla fine venne preso il Galles, che vinse il doppio confronto e si qualificò a quei Mondiali. Non so dire esattamente quanto è probabile uno scenario simile, con Israele accoppiata con una squadra oceanica random in un playoff creato ad arte. Diciamo che non è possibile escluderlo del tutto.
CHE IMPATTO AVREBBE LA SOSPENSIONE SUL CONTESTO POLITICO INTERNAZIONALE?
Partiamo da un presupposto: per la FIFA un’eventuale sospensione di Israele avrebbe di per sé un peso relativo (alla fine parliamo di una Nazionale che ha un peso sportivo piuttosto piccolo e che ha possibilità quasi nulle di qualificarsi ai prossimi Mondiali) se non fosse per le profonde connessioni instaurate negli ultimi anni con l’amministrazione Trump, per cui invece una sospensione di Israele avrebbe un peso simbolico, e quindi politico, piuttosto importante. Non a caso, l’amministrazione Trump, attraverso un portavoce del Dipartimento di Stato (sostanzialmente il nostro Ministero degli Esteri), ha fatto sapere che lavoreranno “in ogni modo per fermare ogni sforzo per espellere la Nazionale israeliana dalla Coppa del Mondo” solo poche ore dopo che era uscita la notizia della possibile sospensione da parte della UEFA.
È una questione che è vecchia almeno tanto quanto lo sport stesso. Lo sport ha un valore diplomatico tutto sommato piccolo, e non può davvero cambiare il mondo come vuole una certa vulgata, eppure la sua carica simbolica è tale che finisce per essere molto importante per i governi di tutto il mondo. Questo spiega l’impegno dell’amministrazione Trump ma anche di quella Netanyahu che, secondo le fonti di diversi quotidiani autorevoli, sta lavorando in queste ore per evitare che la UEFA arrivi davvero a questo fatidico voto. In questo senso, non si può del tutto escludere che il “piano di pace” per la striscia di Gaza presentato in fretta e furia da Trump proprio ieri, e che è stato ben accolto da molti governi europei, sia stato pensato anche per provare a tamponare questa situazione.
Un’eventuale sospensione di Israele da parte della UEFA metterebbe grossa pressione sulla FIFA, che da una parte, come detto, ha sul tavolo il voto sulla sospensione della federazione israeliana proposto da quella palestinese circa un anno e mezzo fa, e dall’altra un Mondiale da organizzare principalmente negli Stati Uniti tra solo pochi mesi. Per il governo americano la Coppa del Mondo è un’enorme leva negoziale nei confronti della FIFA, ma lo stesso discorso si potrebbe fare anche al rovescio: alla fine un fallimento dei Mondiali del prossimo anno sarebbe un incredibile danno di immagine anche per il governo degli Stati Uniti, che è già - per altri motivi - in una crisi profondissima di legittimità internazionale.