Con Paulo Fonseca il Milan ha giocato cinque partite ufficiali. Se consideriamo la chiusura del mercato, arrivata al 30 agosto, con la squadra completata Fonseca ha avuto a disposizione due partite: la vittoria contro il Venezia e la sconfitta contro il Liverpool. Calcolando la pausa per le Nazionali, che ha allontanato molti giocatori da Milanello, quante settimane complete di lavoro ha avuto, Paulo Fonseca, con tutta la squadra a disposizione?
Giudicare il lavoro di Fonseca dopo così poco tempo sembra impossibile per chiunque, ma non per i dirigenti del Milan, che starebbero seriamente valutando l’esonero del loro tecnico due mesi dopo averlo assunto. Chissà se, potendo tornare indietro, il Milan assumerebbe di nuovo Paulo Fonseca come allenatore. Chissà cosa, nel frattempo, gli avrebbe fatto cambiare idea. La sconfitta contro il Liverpool, una delle migliori squadre in Europa? Le tante transizioni concesse contro il Parma? Il primo tempo moscio col Torino?
___STEADY_PAYWALL___
Niente di tutto questo sembra abbastanza per prendere una decisione così drastica, tanto che viene da pensare che ci sia in realtà qualcosa di meno tangibile. Una mancanza di fiducia più sottile nei confronti di Fonseca: una mancanza di fiducia professionale e umana; forse sarebbe più giusto definirla mancanza di rispetto.
Dopo la partita di Champions, Paulo Fonseca è andato ai microfoni per la classica intervista di rito, che di rituale a dire il vero non ha avuto nulla. Sono interviste difficili, quando perdi 3-1 in casa e il tuo lavoro è già in discussione. In studio, però, Zvonimir Boban ha deciso di infierire. Inizia un’arringa in cui spiega a Fonseca come dovrebbe giocare il Milan. Non gli muove una critica specifica, non commenta un aspetto della partita che non ha funzionato: spiega direttamente dove Fonseca dovrebbe schierare i giocatori, uno a uno; gli spiega, insomma, come dovrebbe fare il suo lavoro. Fa male sentirlo parlare e mancare di rispetto così platealmente a una persona in diretta televisiva. Fonseca inizia a rispondere con un educato: «Io rispetto tutte le opinioni» e si vede di nuovo interrotto da Boban che sente di dover aggiungere: «Ci mancherebbe». L’intervista prosegue su toni durissimi e irrituali. Fabio Capello definisce il Milan «demoralizzante» e poi, anche lui, spiega a Fonseca come avrebbe dovuto giocare. Nello specifico come avrebbe dovuto marcare in area sui calci d’angolo.
Non dovrei neanche dirlo, che il diritto di critica esiste ovunque e figuriamoci nel calcio: la nostra cultura si arricchisce attraverso il dialogo e la discussione infinita. C’è però qualcosa di più violento, di più assertivo del solito nel modo in cui viene trattato Fonseca davanti alle telecamere. Vederlo in televisione mi ha trasmesso un forte disagio. Un senso di imbarazzo e malessere che si prova di fronte ad atti di bullismo. Fonseca ha la barba sfatta, si gratta la testa, assume un’aria mortificata e passiva. E più sembra in difficoltà, più i suoi interlocutori si sentono in diritto di offenderlo. È difficile sapere cosa rispondere, quando vieni maltrattato in diretta televisiva e sei una persona per bene. Immaginate quel tipo di durezza usata con Fonseca contro allenatori come Inzaghi, Allegri, Mourinho. Riuscite a figurarvelo? Anche loro hanno avuto diverbi in tv ma in cui sono stati i primi ad alzare il livello dell’aggressività. Quel tipo di decoro diplomatico che porta nessuno a pestarsi troppo i piedi in televisione, e che finisce per rendere spesso le interviste a essere noiose, non sembra valere per Paulo Fonseca.
A essere onesti, non è la prima volta che il livello delle critiche nei confronti di Paulo Fonseca sembra leggermente stonato, sopra le righe rispetto alla pacata e ovattata cortesia che avvolge le interviste. Già alla Roma aveva vissuto momenti simili, e alla sua ultima stagione aveva cambiato stile, diventando più nervoso e aggressivo. Dopo una partita contro il Cagliari, esasperato, aveva detto: «Quando perdiamo vogliono distruggere la Roma. Accettiamo le critiche giuste, (…) ma in tutti i momenti in cui non vinciamo arrivano sempre gli stessi che vogliono distruggere la squadra». C’era qualcosa di ferito nel suo tono, di un uomo che aveva la sensazione di essere trattato ingiustamente: un povero cristo. Fonseca però è di quelle persone che risultano goffe quando provano ad arrabbiarsi.
In quel periodo la Roma stava lottando per il terzo posto; una rincorsa penalizzata dalle energie spese in Europa League, dove la squadra si è spinta fino alla semifinale, poi persa contro il Manchester United. Il racconto intorno alla squadra era quello apocalittico di una stagione fallimentare; cinque giorni dopo l'eliminazione in coppa i Friedkin fanno il loro colpo di teatro, e ingaggiano José Mourinho. Fonseca viene buttato come una macchina vecchia, una Punto GPL che puoi mandare a rottamare ora che puoi permetterti una Alfa Romeo. Lui se ne va da uomo in burnout.
Il modo in cui viene trattato nelle interviste, lo scetticismo dei tifosi nei suoi confronti, mi sembrano legati alla narrazione che circonda Fonseca. All’aura che gli è stata costruita attorno suo malgrado.
Fonseca ha qualcosa dell’inetto sveviano, dell’uomo ontologicamente inadatto. Un uomo perso nelle sue idee, nelle sue fantasie, incapace di vivere nel mondo. Nelle squadre che ha allenato è circondato dalla reputazione di un allenatore leggero, amante della metafisica, poco pratico. Si ignorano il suo pragmatismo, il suo curriculum d’alto livello, le esperienze in giro per il mondo, i buoni piazzamenti. Si ignora il suo percorso, ciò che lo ha portato ad allenare squadre prestigiose partendo dalle giovanili della Estrela Amadora. Nel suo paese Fonseca è riuscito a vincere una coppa di Portogallo col Braga: un successo storico che in Italia, però, viene considerato robetta. Per lo stesso fenomeno di distorsione per cui ciò che si fa fuori dal nostro paese non ha valore. Riguardo Fonseca, si fa finta che tutto il contorno reale che lo circonda sia insignificante, mentre si continua a parlare di un allenatore a cui piace il “bel gioco”, l’estetica fine a se stessa. Un allenatore, quindi, che non può allenare davvero ad alto livello, perché come diceva qualcuno: «I poeti non vincono i trofei».
È un ritratto di Fonseca ingeneroso, parziale e viziato dai pregiudizi. Un’immagine che lui non ha fatto niente per mettere in discussione - va detto. Lui e i suoi collaboratori nelle interviste parlano spesso di principi non negoziabili, di filosofia di gioco. Usano tutte quelle parole che puzzano di concettuale e che mandano ai pazzi i media italiani. L’immagine del Fonseca allenatore teorico e svampito è costruita ad arte con un fine lavoro propagandistico: sottolineando certi aspetti e trascurandone altri.
Si dimentica, per esempio, il fatto che il suo Lille giocava una delle migliori fasi difensive della Ligue 1, che il suo gioco era soprattutto solido. La sua difesa era la terza migliore del campionato per gol subiti, la seconda migliore per xG subiti, la seconda con meno tiri subiti in transizione, quella che ha subito meno tiri in generale. E se queste prime giornate hanno mostrato dei problemi inquietanti nelle transizioni difensive del Milan, sembra più un problema ereditato dalla vecchia gestione che creato da lui. Fonseca è lì per risolverlo, e dovrebbe fare meglio, ma non è un problema congenito ai suoi principi, alla sua leggerezza tattica.
Si dimenticano, per esempio, le sue buone stagioni alla Roma. Ottime se consideriamo il momento storico del club, il valore di quella rosa e le guardiamo col senno di poi. Fonseca allenava in un momento di transizione societaria, tra la gestione di James Pallotta e quella di Friedkin. Il club aveva abbassato gli investimenti e veniva da una serie di sessioni di mercato stralunate. Fonseca si era adattato ai vari cambiamenti di rosa con grande intelligenza, passando per esempio alla difesa a 3, negoziando ma non rinunciando ai propri principi, mostrando a volte anche un atteggiamento reattivo. Ricordate il doppio confronto con l’Ajax ai quarti di finale d’Europa League?
Con un materiale tecnico a disposizione peggiore di quello dei suoi successori, aveva centrato obiettivi simili. In quel momento un quinto posto o una semifinale d’Europa League erano considerati traguardi fallimentari alla Roma, mentre poco dopo si riveleranno in linea con le possibilità del club. Mentre traguardi di poco migliori saranno festeggiati come qualcosa di storico.
Le due formazioni con cui la Roma ha affrontato la semifinale di Europa League contro il Manchester United. La partita d’andata è stata un’ecatombe di infortuni, che ha portato poi all'undici che vedete schierato al ritorno. Fate le vostre valutazioni.
Si dimentica tutto questo perché c’è qualcosa di intangibile e sottile che il calcio italiano non sopporta di Fonseca. Non è facile dire con esattezza cosa, ma sembra un fenomeno simile - una specie di cappa di bullismo - a quello che ha circondato altre figure della storia recente del nostro calcio, come Riccardo Montolivo o Andrea Ranocchia. Uomini che interpretavano una mascolinità poco convenzionale nel mondo del calcio. Personaggi poco “virili”, maschi poco alpha, fuori posto in un mondo che - un po’ per gioco, un po' no - ha reso culto la frase “uomini forti, destini forti”. Non conta poi essere forti davvero, ma mostrarsi forti in un modo o nell’altro. Mettere su lo spettacolo della forza, come ha fatto per esempio Zlatan Ibrahimovic agli stessi microfoni per rispondere a Boban. Alla domanda su quale fosse il suo ruolo nel Milan, Ibra ha dato una risposta da bullo: «Ti spiego adesso: comando io, sono io il boss e tutti lavorano per me»; una risposta vuota e inquietante per il Milan, ma che alla fine dei conti è risultata meno problematica di quella più pacata di Fonseca. Paga anche una diffidenza storica del nostro calcio nei confronti degli allenatori stranieri - che vengono qui a spiegarci una cosa che sappiamo fare benissimo da soli.
Alla Roma Fonseca aveva provato a reagire al caos e all’ambiente tossico restando calmo ed elegante. Un atteggiamento che richiede forza, ma che è stato scambiato per un segno di debolezza. Di fronte alla sua pacatezza l’ambiente romano - o almeno una buona parte di esso - aveva reagito con ancora più violenza; come se avesse trovato un terreno fertile su cui far proliferare la solita retorica da fine del mondo. Un povero cristo da martoriare. A Roma, si sa, si ama il "cesarismo", e in città si dice sempre che alla squadra serve un uomo forte per domare la psicosi di massa. Per questo allenatori severi e con un carisma molto virile come Spalletti, Capello o Mourinho hanno funzionato. La calma di Fonseca, la sua educazione, è considerata inconsciamente un sintomo della sua scarsa competenza, di una inadeguatezza esistenziale. È una versione dei fatti, un modo di voler vedere le cose, visto che a Roma è riuscito a vincere un allenatore calmo e silenzioso come Liedholm.
Questi passaggi di Fonseca nel calcio italiano mi sembrano dire più di noi di quanto dicano di lui. Non ci piacciono le persone calme, educate, gentili, perché ci sembrano deboli. Quello del calcio è un mondo di maschi alpha, dalla mentalità prevaricatrice, che hanno introiettato come una seconda natura l’abitudine ad accanirsi verso uomini diversi, che percepiscono come deboli, o indeboliti. Amiamo gli allenatori sergenti, la mentalità militare, la disciplina parziale. «Questo finalmente li fa correre», qualcuno commenta le prime foto di Juric da allenatore della Roma. Questo atteggiamento probabilmente appartiene ai giocatori stessi: cosa avranno pensato Theo, Pulisic o Maignan a guardare il loro allenatore sbranato ai microfoni?
Secondo alcune indiscrezioni, sembra essere questo uno dei motivi del possibile esonero di Paulo Fonseca, e cioè che i giocatori non hanno più fiducia nei suoi confronti. Una società forte non dovrebbe, di fronte ai fatti, difendere la propria scelta fatta poche settimane fa?
Julen Lopetegui non era voluto come allenatore del Milan. Durante l’estate si è verificata una sollevazione popolare senza precedenti per non assumerlo come allenatore del Milan. Lopetegui, come sappiamo, è un altro uomo “debole”. Una persona che si è fatta strada nel calcio urlando poco, facendo valere le proprie idee e la propria competenza. Un teorico. Una persona che in passato aveva mal sopportato le grandi pressioni del mondo del calcio ai massimi livelli. I tifosi del Milan non volevano questo allenatore ma Antonio Conte, noto per la sua comunicazione estrema e i metodi di allenamento militare: un uomo forte. Come un uomo forte nel Milan è stato, appunto, Capello, o Nereo Rocco. C'è però un'altra versione del Milan vincente, con allenatori come Ancelotti o Sacchi, che sono agli antipodi di quel tipo di figura.
Insomma, come sempre ci raccontiamo come dati oggettivi quelle che sono interpretazioni della realtà.
A guidare le scelte al di sopra del populismo, e degli inevitabili bias dei tifosi, ci dovrebbero essere i dirigenti, e la dirigenza del Milan infine ha scelto Fonseca, e ha difeso la propria scelta per qualche settimana, finché non è iniziato il campionato e le cose non sono andate esattamente come sperato. "Come sperato", a questo punto, significa che Fonseca mostrasse una squadra pronta e competitiva da subito. Una squadra senza passaggi a vuoto, e capace di giocare alla pari contro il Liverpool.
Come successo per l’esonero di De Rossi dalla Roma, il calcio italiano sembra incapace di abbracciare progetti di lungo periodo, e accettare i momenti di fisiologica difficoltà che contengono. Fonseca non è stato ancora esonerato, certo, ma il fatto che ne parli con questo livello di concretezza è significativo. Cosa deve fare ora per salvare la panchina? Battere l’Inter che pochi giorni fa ha giocato quasi alla pari contro il Manchester City? È questo il tipo di standard che si pretende da Fonseca? Gli verrà dato il tempo, quanto meno, di fallire in modo più chiaro? Oppure verrà esonerato col dubbio che forse avrebbe potuto anche funzionare? Davvero Terzic o Sarri - con le problematiche che si portano dietro - sarebbero delle scelte migliori?
La situazione è ancora più inquietante se pensiamo che riguarda una società modello, in questo senso, negli ultimi anni. Se il Milan sembra uscito dalla sua banter era, si qualifica alla Champions con regolarità, e i suoi tifosi possono dirsi frustrati da una sconfitta contro il Liverpool, è anche per il lavoro progettuale che è stato fatto in questi anni, e che ora rischia di essere sperperato dalla nuova catena di comando.
Mi rendo conto che a questo punto del mio discorso possa intravedersi una contraddizione. Come faccio a dire che il carattere di Fonseca non dovrebbe incidere sul giudizio nel suo lavoro, se poi lo rende più attaccabile dalla stampa, meno rispettato dai giocatori?
Oggi Fonseca è in una di quelle situazioni che accomuna il calcio d’alto livello e il business: con la barba sfatta, le occhiaie, l’aria stanca e confusa, sembra quello che in gergo si definisce “Dead Man Walking”, un condannato a morte, un futuro licenziato. Non dovrebbe essere più bravo a fare questa parte del suo lavoro, ovvero gestire la pressione?
Sì, ed è vero che la contraddizione esiste, ma ogni tanto potremmo anche provare a usare il buon senso, e uscire dal pantano dialettico che abitiamo ogni giorno, che ci fa sembrare normali cose che non lo sono. Nel conflitto evidente tra Fonseca e il calcio italiano siamo sicuri che sia lui quello sbagliato e non noi?